ARTICOLO - Commemorazione e Sacralizzazione dei caduti della Grande Guerra - Parte prima

Articolo - Roma

La dura vita di trincea costrinse i soldati dei diversi eserciti a convivere quotidianamente con la presenza della morte. In qualsiasi momento e all'improvviso, per un colpo di artiglieria o una scheggia di granata avrebbero potuto perdere la vita. L’assuefazione alla morte di massa non affievolì la pietà dei soldati verso i propri compagni deceduti; fin dall’inizio del conflitto, infatti, il rispetto per i commilitoni caduti spinse gli uomini a preservarne le spoglie in cimiteri spesso improvvisati al fronte, raccogliendo i corpi in fosse comuni o seppellendoli singolarmente, dopo semplici cerimonie officiate da cappellani militari.

Le tante vittime prodotte dall’immane conflitto generarono sia in Italia sia nelle altre Nazioni un dolore collettivo che sfociò in un vero e proprio culto dei caduti, i quali furono presentati come dei nuovi martiri che avevano sacrificato la loro vita per la salvezza della Patria e della famiglia. Il processo di elaborazione del lutto messo in atto, già durante la guerra, da parte dei familiari e degli amici delle vittime per rendere più sopportabile la perdita del proprio caro, portò dunque all’organizzazione di varie iniziative commemorative.

Queste ultime assunsero sempre più una forte connotazione politica e in esse emerse un’energica retorica nazional-patriottica attraverso la quale la morte del soldato venne esaltata come un atto eroico e come un sacrificio per la Patria. Spesso nei discorsi dei commemoranti venivano citate le parole scritte nelle ultime lettere inviate ai propri cari dal soldato caduto o si ricorreva alle testimonianze dei superiori e dei commilitoni per ricostruire l’esemplare condotta del soldato al fronte e gli ultimi istanti di vita. È chiaro che prendendo come riferimento questi resoconti a volte distorti ed eccessivamente esaltanti, in queste occasioni si correva il rischio di rappresentare e ricordare tutte le vittime del conflitto in modo uniforme e stereotipato.

A tale proposito vale la pena segnalare un caso tra tanti, quello del Capitano dei Carabinieri Vittorio Bellipanni, morto in combattimento il 24 maggio 1917 e del quale il portale 14-18. conserva documenti di notevole interesse tra cui le condoglianze rivolte ai genitori, le lettere scritte dal soldato al padre e alla madre, alcune immagini relative al suo funerale e una registrazione sonora in cui il famoso baritono dell’epoca Ferruccio Corradetti legge una parte dell’orazione funebre scritta da Gabriele D’Annunzio per la morte dell’eroe.

Le iniziative di commemorazione partirono sia dall’alto che dal basso. Tra le iniziative commemorative provenienti dal basso, ovvero dalla cerchia delle persone intime e più vicine al soldato deceduto, il culto dei caduti trovò espressione soprattutto in opuscoli commemorativi pubblicati da privati o da associazioni e organizzazioni. La maggior parte di tali opuscoli usciva in occasione del trigesimo o dell’anniversario della morte e contenevano necrologi, discorsi commemorativi, lettere, diari o fotografie del defunto, lettere di condoglianze inviate alla famiglia. Questa specifica pratica di rendere onore al caduto attraverso la pubblicazione commemorativa individuale divenne un fenomeno diffuso su tutto il territorio peninsulare e andò a toccare sia la sfera pubblica sia quella privata, situandosi a metà strada tra il lutto individuale e la retorica patriottica, tra l’ambito famigliare e quello nazionale. Tali raccolte rispondevano ad un impellente bisogno di rappresentazione simbolica della morte, poiché la popolazione sentiva la necessità di elaborare la scomparsa prematura e violenta dei tantissimi giovani partiti per il fronte e mai più ritornati.

Le famiglie dei soldati morti che si trovavano in condizioni economiche tali da poterselo permettere, fecero inoltre stampare cartoncini commemorativi accuratamente preparati per tramandare in maniera solenne il ricordo dei propri defunti.

 

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Fonti